E’ siciliana la Start up che trasforma il cibo scaduto in mangime per gli animali

(Repubblica.it) – MILANO – Sostiene che l’idea gli sia venuta per il suo amore per gli animali. Quelli della sua piccola fattoria in Sicilia, dove Giuseppe Galatà si era trasferito negli anni Ottanta da Belluno, quando era sceso al Sud per lavorare come ingegnere per una società di costruzioni. E dalla consuetudine con il lavoro che si e’ scelto a partire dal 1992, consulente per le aziende in cerca di finanziatori e di idee per sviluppare nuove attività.

L’incrocio tra professione e tempo libero si è trasformato in un brevetto che entra di diritto nel filone dell’economia circolare e che potrebbe dare un contributo importante per limitare una delle conseguenze negative dell’economia consumistica: lo spreco di cibo. E’ nato così il progetto Save, assieme all’Università di Messina, che ha già ottenuto un doppio finanziamento da parte del ministero dell’Università e della ricerca nell’ambito del progetto Smart city.

L’idea base è quella di recuperare il cibo che ogni giorno viene scartato dalla grande distribuzione o nei mercati, sia frutta verdura che confezionato, per trasformarlo in alimenti per animali. Opportunamente trattato e disidratato (e dopo qualche migliaio di prove certificate dall’ateneo siciliano) si è trasformato in un prodotto diventato alimento per vitelli e vacche in asciutta (come vengono definiti gli animali che hanno appena partorito).

In sostanza, si usa la tecnica dell’insilamento, acidificando la massa vegetale a opera di microorganismi anaerobi. I risultati? Frutta e verdura trasformata hanno rivelato di possedere il 18 per cento di proteine in più rispetto ai mangimi tradizionali. E anche le analisi sui vitelli cosidetti da ingrasso hanno dati riscontri superiori alle medie. In pratica, crescono meglio.

La start up creata da Galatà si muove sull’asse nord-sud: in Sicilia viene lavorato il prodotto fresco (frutta e verdura), mentre in provincia di Parma e Ferrara finisce in due diversi stabilimenti tutto l’inscatolato e insaccato, perché il procedimento di spacchettamento necessità di un processo industriale più complesso.

Tutto il cibo, viene recuperato, per il momento, grazie a un accordo con la catena Despar in Sicilia. Ma lo sviluppo industriale del brevetto, finita questa prima fase sperimentale, non potrà che allargarsi. I vantaggi sono sia per l’operatore commerciale che dovendo far ritirare una quantità inferiore di “rifiuti” pagherà una tassa più bassa sia per gli allevamenti potranno comprare mangime “a chilometro zero”  e, di fatto, sempre disponibile. Ma anche per i Comuni che potranno migliorare le proprie prestazioni sul riciclo del rifiuto.

Oltre a dare un contributo alla lotta allo spreco, se si pensa che ogni giorno ciascun italiano finisce per buttare mezzo chilo di cibo, comprato e pagato, nella pattumiera. Per non parlare di quello scartato dalla grande distribuzione perché non più vendibile: si arriva a punte del 60/70 per cento per frutta e verdura e al 25/30 per cento per l’inscatolato.

Cosa manca per lo sviluppo industriale del progetto Save? Un po’ di burocrazia, come sempre: l’Unione europea ha fatto il suo introducendo gli scarti dell’ortofrutta nel catalogo degli alimenti per animali e le nuove norme vietano anche in Italia alla Gdo e ai mercati di non gettare il cibo scaduto in discarica. Ora, mancano “soltanto” i protocolli per il corretto utilizzo da parte degli allevamenti.

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