Io che vivo da 7 anni in barca con un violoncello di 300 anni

 

“Volevo fare il direttore d’orchestra da bambino. Ma poi mi innamorai del violoncello. Fu il maestro Giuseppe Patanè, regalandomi un vinile della Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo” di Antonio Dvořák, a farmi riprendere la rotta sognata. Ho iniziato la mia carriera di direttore a 18 anni, l’ho smessa a 48…”. Roberto Soldatini si volta indietro, dalla poppa di Denecia, per ripercorrere la sua scia.

Vive in barca a vela da sette anni. Una fuga?

“No. Non è stata una scelta tipo “mollo tutto”, ma più del “adesso vado alla ricerca di…”. Anche perchè non ci si può illudere che fuggendo, mollando tutto il mondo cambi. No, resta sempre quello. Puoi starne ai margini, ma non puoi uscirne. Cominci a rimuginare di non voler più fare mille compromessi, rifiuti di dirigere Bocelli, scelgono un altro direttore… Se poi, come è capitato a me, vivi un periodo in cui hai tempo per pensare, maturi la cosa e ad un certo punto arriva il momento. Il mio è stato un allontanamento volontario”.

 

 

 

Una decisione maturata.

“Sì, è stato tutto molto graduale”.

 

C’è stato un elemento coadiuvante?

“La mia vita mi piaceva, al confronto con altre realtà era privilegiata. Ma temevo di entrare nel personaggio del direttore d’orchestra e di fare solo quello. Ne avevo visto le avvisaglie. Un direttore d’orchestra che incontrai in una rada, che m’invitò sulla sua barca e che non smise mai di parlare di se stesso…”.

 

E la scelta della barca?

“Si sceglie quello che fa vibrare le proprie corde. Nel mio caso è stata la barca, il mare. I suoi spazi infiniti, il contatto con la natura, l’acqua salata che guarisce tutto… Denecia era di una vedova inglese e l’ho permutata con la mia casa di Roma, che piaceva alla signora. Una coincidenza straordinaria…”.

 

Scusi, torniamo indietro, vuole? Al violoncello. 

“A Roma c’era molto fervore musicale. Mi feci prendere dall’entusiasmo per il violoncello. Finché al Teatro dell’Opera arrivo Patanè. Vestito semplice, dirigeva le prove senza partitura. Una rarità che mi colpì. Inoltre, sotto la sua guida, l’orchestra fece in un batter d’ali un salto di qualità incredibile. Gli feci i complimenti, lui mi regalò il disco della Sinfonia n. 9 di Dvořák e mi disse: “Per colmare la tua ignoranza”. Lo ascoltai e individuai una difformità nell’esecuzione. Tornai dal maestro, glielo feci notare, lui sorrise e replicò: “Da questo momento, se vuoi, puoi essere il mio assistente. E così ho cominciato la mia carriera da direttore d’orchestra…”.

 

 

 

Che poi ha interrotto.

“Che ho rallentato, finché non s’è esaurita”.

 

Veniamo al mare. 

“La scoperta del mare la devo a un amico, che me lo ha fatto vedere in maniera diversa. Io ero più per la montagna, come estrazione”.

 

Ha frequentato un corso di vela?

“Io avrei voluto improvvisare, comprare una barca e poi imparare, ma mio padre, che era d’impostazione più ortodossa, volle che prima frequentassi il corso per conseguire la patente nautica. Me lo regalò prima di morire…”.

 

Ed è diventato uno skipper provetto…

“Ma va! Sono salpato comunque. Il mio primo viaggio è stato in solitaria, da Roma a Istanbul. Nelle isole greche mi sono rotto una gamba, ma sono riuscito a tornare. Un’avventura… Ora, dopo sette anni, ho 25 mila miglia di navigazione sulle spalle: continuo a fare errori, ma sono sicuramente più sicuro di allora al timone”.

 

 

 

Come si svolge la sua vita?

“Più o meno sei mesi a terra, ormeggiato a Napoli e sei mesi in mare”.

 

Perché Napoli?

“Ci sono arrivato, tornato, mi sono lasciato catturare dalla sua bellezza, ho scelto di svernarvi. Non è un ormeggio definivo, credo. La barca del resto consente di cambiare facilmente, non devi fare un trasloco…”.

 

E che fa nei sei mesi a terra?

“Insegno violoncello al Conservatorio di Avellino, il più grande d’Italia. Sono docente dal 1984, non ho mai smesso”.

 

Poi, navigazione.

“Lungo le coste italiane, oppure preferibilmente nell’Egeo. Mi piace il vento, la sua cultura…”.

 

Una vita a metà.

“Non ho avuto il coraggio di fare una scelta radicale di 12 mesi in mare, anche perchè non ho una rendita per permettermelo. L’avessi? Forse non starei sei mesi a terra. O forse anche sì. Quando stai fermo, senti il bisogno di riprendere il mare. E quando sei in mare, alla fine senti il bisogno di approdare, anche per condividere le tue esperienze con gli amici. E’ tutto in movimento… L’unica certezza, come diceva Jules Verne, è l’incertezza…”.

 

 

 

 

Salpare è anche rinunciare?

“Be’, chi salpa solitamente camba modello di vita. Riduce i consumi, le esigenze. Nel mio caso, aver rinunciato a una determinata carriera è stata una scelta di decrescita. Meno drastica di altre, ma certo non ho più le entrate di un direttore d’orchestra.. Vorrei ridurre sempre di più, ma non è facile…”.

 

Quando naviga lungo le coste italiane lo fai anche per presentare i tuoi libri, giusto?

“Sì. Scrivere per me è divertimento, crescita personale. E quando esce un mio libro mi dedico alle presentazioni, perché è un dovere verso l’editore e verso i lettori, ma anche perché è qualcos’altro da fare, da provare, da sperimentare. Ed è anche l’occasione per vedere l’Italia, scoprire il Mediterraneo. Ora, ad esempio, sto navigando di porto in porto nel Tirreno, seguendo le rotte commerciali di un Portolano degli antichi romani. Un viaggio da Roma ad Arles, 59 scali. Piccolo cabotaggio, tratte di 15-20 miglia, che mi consentono di navigare quasi sempre a vela”.

 

Di porto in porto anche per un progetto artistico.

“E per fortuna che sono spesso ospite. Perché diversamente non potrei permettermelo. Le tariffe dei porticcioli italiani sono molto care, anche 200, 300 euro per notte. E poi i porti sono vuoti. Tanti velisti stranieri li evitano proprio. Il francese che vuole andare in crociera in Grecia salta l’Italia perché rischia di spendervi gran parte del budget preventivato per la vacanza… Davvero un peccato. Detto, questo, sì, porto a terra anche un mio spettacolo in cui unisco la musica del mio violoncello di 300 anni ai classici della letteratura del mare, da Verne a De Luca. La musica del mare”.

 

L’ultimo libro?

“Denecia, il nome della mia barca, che è ritratta anche in copertina da un aquarello di Michele Gallucci, per i tipi di Mursia. Mi sono immaginato che Denecia racconti la sua storia e ciò che vede intorno a sè, degli uomini e di come questi ultimi stanno trattando la natura. Un escamotage che oltre ad accarezzare l’idea romantica che vuole la barca con un’anima mi consente anche di essere più critico: detto da una barca, insomma… E’ un libro di mare, ecologia e di amore”.  “Volevo fare il direttore d’orchestra da bambino. Ma poi mi innamorai del violoncello. Fu il maestro Giuseppe Patanè, regalandomi un vinile della Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo” di Antonio Dvořák, a farmi riprendere la rotta sognata. Ho iniziato la mia carriera di direttore a 18 anni, l’ho smessa a 48…”. Roberto Soldatini si volta indietro, dalla poppa di Denecia, per ripercorrere la sua scia.

FONTE: LA STAMPA

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